Museo Fisogni delle pompe di benzina: storie dal 1892 a oggi

Museo Fisogni, alcune espressioni del Bibendum Michelin

Tradate, 26 marzo 2018 – Ingegneria, economia, design, grafica pubblicitaria, folklore. La collezione del museo Fisogni della stazione di servizio a Tradate è ricca di spunti storici sotto molti aspetti. La raccolta include 5mila oggetti, tutto ciò che ruota intorno alle pompe di benzina. A cominciare dalla più antica di tutte. Il distributore Brevo del 1892, costruito a Zurigo, che era installato a muro. Erogava carburante a caduta e un misurino indicava il rimanente grazie a un sistema di vasi comunicanti. “Anche droghieri e farmacisti vendevano benzina, come antipidocchi”, spiega Fisogni. Poi, serbatoi a carrello, impianti a colonna, ad azione manuale e il primo elettrico, un Sais rosso del 1936, per benzina e nafta: “È il simbolo del museo”, spiega Guido Fisogni, fondatore (LEGGI QUI la sua storia).

Museo Fisogni delle pompe di benzina: gli aneddoti sul fascismo

In Italia nel 1929 circolavano oltre 200mila veicoli serviti da 16.750 distributori. Su tutti spicca la “pompa di Mussolini”, quella di palazzo Venezia (Siliam, 1936). Disegnata da Marcello Piacentini in stile littorio, nella pensilina imita il saluto romano, una forma ripresa a quel tempo anche dai campanili in architettura. Quella del duce era “Benzina pura”, ovvero senza “Robur” l’alcol ricavato dalle barbabietole che necessitava di apposito motore sui veicoli. Nella stessa stanza vi sono poi un distributore Fiat, la casa automobilistica che allora produceva anche benzina e la prima pompa trovata da Fisogni nel ‘66, una Bergomi bianca e azzurra (Milano, 1931). Ben visibili i due serbatoi da 5 litri che si riempivano, uno dopo l’altro, manovrando con la leva, man mano che la prima si svuotava nel serbatoio dell’automobile. Erogava benzina sovietica Victoria, distribuita da Snom, poi rilevata dall’Agip.

Sono dello stesso periodo gli altissimi distributori (fino a 2,70 metri), simili a colonne romane, con tanto di globo al posto del capitello. È il caso di un Gex L’Aster del 1931 della British Petroleum. Senonché, il brand “BP” venne autarchicamente ribattezzato “Benzina purissima” per nascondere l’origine d’Albione. In onore allo stile “Impero Romano” c’è persino il carrello a forma di biga, una produzione francese per il mercato italiano (Satam, 1924). Infine, i cartelli stradali della benzina Lampo: sponsorizzati, ma recanti il fascio littorio.

Museo Fisogni: loghi, design e marketing della benzina

In principio furono le insegne un po’ naif: “essence”, “gasoline”, “benzina”. Poi, fu l’invasione dei brand: “Aquila”, “Aral” o “Red Indian”, per dire i più desueti conservati nel museo Fisogni delle pompe di benzina. Le sale di villa Castiglioni sono piene di curiosità sui loghi, un caso di studio per la grafica pubblicitaria: il Bibendum della Michelin fuma in bici o il Pegaso MobilOil cambia verso negli anni ‘50. Non solo: automobiline Texaco, ditali Shell, saponette Sinclair. Merchandising ed elettronica per costruire fiducia con i clienti, come la pompa di benzina con totalizzatore a 170 chiavi. “Usata dai camionisti solo in Svizzera negli anni ‘70”. La pistola trasparente e poi quella elettronica contalitri: “Troppo precisa, durò poco…”, ammicca Fisogni.

Ma attenzione, questi oggetti rarissimi non sono in vendita. O quanto meno, non singolarmente: “Qui conservo un caricatore di accendini Agip del 1940 – spiega Fisogni -. La casa madre voleva comprarlo, ma non vendo oggetti singoli, a meno che qualcuno non voglia comprare tutto il museo. Una volta sembrava interessata la Ferrari – prosegue -, ma lo sponsor petrolifero di allora non voleva che comparissero all’interno altri marchi. Ma così però che museo sarebbe?”. Di certo, non un museo da record.
Daniele Monaco
daniele.monaco@polismedia.it